domenica 23 settembre 2012

Un film scadente per scatenare la guerra globale?


E’ questa la nuova forma della guerra globale?
settembre 14, 2012
articolo originale: http://bugiedallegambelunghe.wordpress.com/2012/09/14/e-questa-la-nuova-forma-della-guerra-globale/



L’undici settembre questa volta, undici anni dopo, sembrava passare quasi in sordina. Poteva essere effetto, ho pensato, della crisi economica, che occupa gran parte dei pensieri, poteva essere il tempo che passa… E invece, puntuale, qualcosa è successo, ma cosa?


Apparentemente è il trailer di un film. Un film che avrebbe voluto essere un “atto di accusa” contro l’Islam e contro il profeta Muhammed. Un film che, a giudicare da questa sua presentazione, è una delle produzioni più brutte, grossolane e malfatte mai viste negli ultimi tempi. Un film che, se esiste, nessuno ha mai visto, nessuno ha mai recensito (*N.B. la versione di 74 minuti è stata messa a disposizione in rete a distanza di una decina di giorni e si trova a questo link).
Eppure, messo in rete al momento giusto (ed il momento è giusto!) ha sortito l’effetto desiderato.  E’ cominciato al Cairo, con l’assalto all’Ambasciata americana. In quell’Egitto ancora ben lontano perfino da una  parvenza di stabilità che “l’Occidente” aveva già dato per scontata dopo le elezioni. Un paese governato da un presidente che da una parte riarma il Sinai, senza l’accordo di Israele, rompendo cosi’ un patto che risaliva ai tempi di Camp David, nel ’78, quando il Sinai fu dichiarato zona demilitarizzata, per far fronte ai terroristi che scorrazzano nella zona, e dall’altro si presenta al vertice dei Paesi non allineati, a Teheran. Un paese in mano a un gruppo terrorista islamista, i Fratelli Musulmani, dei quali Muhammed Morsi è il rappresentante, che accetta l’apertura di un ufficio di Hamas e grida alle folle che il trattato di pace con Israele è carta straccia, mentre promette alla Clinton rispetto del trattato e protezione dei diritti umani e delle minoranze. Una presidenza, quella di Morsi, che non sembra aver intenzione di spartire il potere con coloro che in Egitto, invece, il potere l’hanno sempre detenuto: l’esercito.


Il 12 agosto 2012, Mohamed Morsi  ha nominato l’ex giudice Mahmud Mekki alla carica di vice presidente. Ha inoltre ritirato la delega di ministro della Difesa e di capo delle Forze armate a Mohammed Tantawi. Ritirata la delega anche al capo di gabinetto, Sami Anan. A guidare le forze armate al posto di Tantawi è stato nominato il generale Abdellatif Sisi, mentre il nuovo capo di gabinetto sarà il generale Sidki Sobhi. Morsi ha, inoltre, cancellato la dichiarazione costituzionale emessa dall’esercito egiziano subito prima della sua nomina a presidente e che dava alle forze armate ampi poteri in materia legislativa. Tantawi è quello che per 20 anni è stato al fianco di Hosni Mubarak e capo della giunta militare alla su caduta. Le iniziative di Morsi hanno determinato il rafforzamento dei partiti islamisti,  quello dei Fratelli Musulmani e quello di Giustizia e Libertà, insieme ai salafiti di al Nour, che avevano contribuito alla sua vittoria. Strano paese l’Egitto, strane cose vi accadono. Domenica 9 settembre, ad esempio il giornale arabo Moheet.com, un giornale di Dubai con una sede al Cairo, riportava la singolare notizia dell’arresto “casuale” di due persone che stavano viaggiando sulla strada Cairo- Ismailia con a bordo della loro auto una bomba descritta “a fissione nucleare”.  Notizia che, seppure tutt’altro che di poco conto, è ripresa solo dal giornale Egypt Indipendent che, confermando sostanzialmente l’accaduto, “ammorbidisce” un po’ i toni nella descrizione della bomba: la chiama ad “alto esplosivo”. E basta. I due, “miracolosamente”, riescono a fuggire e la notizia non appare più su nessun altro blog o giornale del mondo.

Poi, l’11 settembre, l’assalto all’Ambasciata americana, il film.
http://www.youtube.com/watch?v=MAiOEV0v2RM

I Fratelli si fanno aiutare dagli ultras sportivi che cosi’ tanto comodo fecero già durante le rivolte contro Mubarak e dagli utili idioti che credono di stare vendicando un’offesa insanabile.




Si comincia a parlare di questo film. Che cos’è? Chi è il regista? Chi l’ha prodotto? E la farsa comincia a prendere corpo. Il regista, scrivono subito i giornali, si chiama Sam Bacile, ebreo-israeliano-americano. Si puo’ trovare un personaggio più perfetto alla bisogna di questo? La produzione è americana. Siamo a ridosso dell’11 settembre, non dimentichiamolo. I media, soprattutto le televisioni, più veloci dei giornali, e il web si gettano a capofitto sulla notizia. Non ci sono dubbi, inizialmente. Quello che preme è solo prendere le distanze, condannare il film.
Poi, arriva la notizia dell’assalto all’Ambasciata americana a Bengazi. L’assalto del Cairo, nonostante sia partita da li’ la cosa, è subito dimenticato, perché a Bengazi ci sono morti. Uno sicuro, l’ambasciatore statunitense Christopher Stevens. E insieme a lui, quattro o forse cinque tra il personale dell’Ambasciata. E parte la ridda di dichiarazioni:

”Questo e’ un Paese che non riesce a trovare la pace, ma deve anche essere aiutato a trovarla. Mi chiedo: e’ il caso di fare tutta questa propaganda contro il Profeta, offendendo un popolo attraverso la religione? In questo modo si aiutano soltanto le forze estremiste e fondamentaliste che vogliono destabilizzare”. Monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, vescovo di Tripoli, commenta così all’Adnkronos l’attacco alla sede diplomatica in Libia conclusosi con l’uccisione dell’ambasciatore statunitense. ”Bisogna accompagnare la Libia nel suo percorso verso la pace, aiutando il popolo a ritrovare la calma e la serenita’. Film del genere di certo non fanno piacere e possono dare un pretesto agli estremisti”.

Ecco, per monsignor Martinelli i colpevoli sono, eventualmente, coloro che hanno osato un film dissacratorio contro l’Islam, non gli assassini. Eppure, lo stesso giorno, Guido De Sanctis, console italiano a Bengazi, aveva dichiarato all’Adnkronos: ”La violenza non sembra essere stata innescata dal nuovo film su Maometto”. Evidentemente, fin dall’inizio, c’è stato chi qualche dubbio se lo è fatto venire.

Per esempio, già il 12 settembre, The Atlantic scriveva:
“Da mie ricerche a proposito di Sam Bacile, il presunto produttore  dell’ormai famigerato trailer  del film “L’innocenza dei musulmani”.. ho appena chiamato un uomo di nome Steve Klein – uno che si definisce un  attivista militante cristiano, a Riverside, California, descritto in diversi resoconti dei media come consulente al film. Klein mi ha detto che Bacile, il produttore del film, non è israeliano (oh! disdetta), e molto probabilmente non è ebreo (oh! che peccato!) , come è stato riferito, e che il nome è, infatti, uno pseudonimo. Ha detto di non sapere il vero nome di “Bacile” . “Mi ha detto che Bacile lo ha contattato, perché  conosciuto per le sue proteste anti-Islam fuori delle moschee e delle scuole, e perché, ha detto, è un veterano del Vietnam e un esperto nel cercare e svelare cellule di al Qaeda in California. “Dopo l’9/11 sono andato alla ricerca di cellule terroristiche in California e le ho trovate…” Mi ha detto che l’uomo che si è identificato come Bacile gli ha chiesto di contribuire a realizzare il film. Quando gli ho chiesto di descrivere Bacile, ha detto:. “Non so molto su di lui l’ho incontrato, gli ho parlato per un’ora. Non è israeliano, lo posso dire con certezza, lo Stato.. di Israele non è coinvolto, Terry Jones (il radicale pastore cristiano che brucio’ il Corano davanti alle telecamere) non è coinvolto. Il nome (Bacile) è uno pseudonimo. Tutte queste persone dal Medio Oriente con le quali lavoro hanno pseudonimi….ho il sospetto che questa sia una campagna di disinformazione." “Gli ho chiesto chi pensava fosse Sam Bacile. Ha detto che ci sono circa 15 persone associate alla realizzazione del film: “Nessuno di loro è cittadino americano. Sono persone dalla Siria, dalla Turchia, dal Pakistan, alcuni dall’Egitto. Alcuni sono copti, ma la stragrande maggioranza sono evangelici."


Questo sembra essere uno degli articoli apparsi nelle prime, frenetiche ore a caccia di notizie. La stampa europea, lentissimamente, ha dovuto prendere atto della verità che si stava delineando, cosi’ diversa da quella che forse avrebbero desiderato per lo scoop ideale. Poi, nuovi ragguagli. Sam Bacile tramonta, per lasciare il posto a Nakoula Basseley Nakoula. Oh! e chi è? Scrive Israel Hayom: “Autorità statunitensi sospettano che il cristiano copto Nakoula Basseley Nakoula sia dietro alla pellicola anti-Islam, legata al violenti disordini in Egitto e Libia…”


E allora a questo punto perfino la stampa italiana si è dovuta adeguare. Scrive Il Sole24 ore:
"Dietro la falsa identità di Sam Bacile si nasconde in realtà, stando a fonti di polizia e inchieste dei media americani, il volto di Nakoula Basseley Nakoula, un 55enne estremista cristiano copto della California con tanto di fedina penale. Anzi condannato per truffa bancaria nel 2010, gli era stato esplicitamente vietato di utilizzare Internet senza una esplicita autorizzazione di un ufficiale giudiziario. Il Dipartimento della Giustizia ha aperto indagini sull’intera vicenda. 
Del tutto pretestuosa, dunque, l’identità creata ad arte per il truculento filmato “L’innocenza dei Musulmani”: quel Bacile, autore americano di origine israeliana, capace di raccogliere 5 milioni di dollari per girare il suo film da generosi donatori ebraici, non è mai esistito. Quei fondi e quei sostenitori sono un inganno. Nakoula, raggiunto a Cerritos vicino a Los Angeles dove vive prima di dileguarsi, ha ammesso di aver collaborato alla logistica del filmato ma ha continuato a negare di essere lui Bacile. Il suo secondo nome, però, è Basseley, una delle versioni circolate del nome del regista. In passato ha usato alias quali Mark Basseley Youssef e Yussef M. Basseley. E, coincidenza finale, il numero di telefono cellulare dato come contatto per Bacile è stato fatto senza ombra di dubbio risalire direttamente a Nakoula. La sua identità e il suo ruolo sono stati confermati nella notte da agenti federali. Era stato condannato due anni or sono a 21 mesi di carcere e a pagare risarcimenti per 780.000 dollari per truffa ed è tuttora in libertà vigilata….”

Allora, anche Repubblica fornisce  i suoi particolari:
“Su YouTube è stato messo da un certo Moris Sadek, nella versione araba. Lui risulta aderente a tutte le associazioni islamofobiche possibili, fa parte di molte associazioni repubblicane ed è un fan di George Bush jr.  Sadek spiega di averlo fatto per un dovere di verità. Dice di non conoscere personalmente Sam Bacile. Sostiene di averci soltanto parlato al telefono. Da 36 ore a questa parte, Morris Sadek ha cancellato il suo profilo da Facebook. Ma qualcuno di rightwingwatch.org è riuscito a estrarlo comunque dal web. Morris Sadek risulta aderente a tutte le associazioni islamofobiche possibili e immaginabili, è iscritto ai Warriors of Christ (I guerrieri di Dio), è un seguace del famigerato reverendo Terry Jones, è membro di molte associazioni repubblicane ed è un fan sfegatato di George Bush jr. Anche lui ora è uccel di bosco. E immediatamente è nato su Facebook un gruppo denominato: We are all Morris Sadek! (“Siamo tutti Morris Sadek!”).

Beh come farsa, la sua qualità sembra proporzionale a quella del film.

Il Dailybeast ci fornisce ulteriori indicazioni:
“Secondo l’articolo del Law Center, che apparve nel Report sullo stato nella primavera del 2012, Klein ha dichiarato che la California è piena di cellule dormienti di Fratelli musulmani “che sono in attesa della data di attivazione e inizieranno a caso, uccidendo molti di noi come possono.“… “Klein è legato anche al movimento Minuteman, i Guardiani cristiani, e al gruppo anti-musulmano con sede nello Utah chiamato Coraggiosi Cristiani Uniti.
Secondo il suo sito web, il gruppo esiste per difendere il cristianesimo tradizionale contro le sette e le altre “false” religioni e filosofie a tutti livelli, e per sostenere il Corpo di Cristo nell’affrontare tali sfide.
Un loro recente messaggio:  ”L’impegno dei CCU nella realizzazione del ‘The Innocence of muslim’ diventerà presto pubblico. I vostri modi odiosi saranno esposti al mondo.”  Klein ha detto al Daily Mail in un’intervista che delle 15 persone che hanno fatto il film, tre sono stati torturati. “Uno degli amministratori è stato gettato in una cella abbastanza grande solo per starci solo in piedi, per 90 giorni, e gli hanno rotto le gambe. Un altro è stato torturato per sei mesi, ed era uno degli uomini più ricchi del paese"







Quindi, spazzatura politica che produce spazzatura mediatica. Ma la religione offesa, la mancanza di rispetto, la blasfemia in questa storia sono un pretesto o la sostanza? Possibile che una farsa di questo genere possa davvero provocare l’ondata di morti e violenze che stanno scuotendo, ovunque, il mondo islamico?  Scrive Repubblica a proposito dell’attacco a Bengazi, spacciato in un primo momento per “atto spontaneo di fedeli musulmani offesi”:

“La Cnn, citando funzionari americani, ha attribuito ad Al Qaeda la pianificazione e la realizzazione dell’attentato. Su questa ipotesi l’amministrazione resta cauta, e si limita per ora a parlare di “un attacco chiaramente complesso”. Senza però citare la rete che fu di Bin Laden. Gli Stati Uniti hanno deciso di inviare in Libia 200 marines delle forze antiterrorismo e, contemporaneamente, di lanciare un’offensiva con l’uso dei droni contro i campi di addestramento dei gruppi jihadisti. L’attaco di Al Qaeda sarebbe stato deciso per vendicare il numero due dell’organizzazione, Abu Yaya al-Libi, ucciso alcuni mesi fa. Morte confermata da Ayman al-Zawahiri proprio all’alba dell’11 settembre. Lo sostiene il think tank britannico Quilliam, citato oggi dalla Cnn.
La protesta contro il film sarebbe stata dunque soltanto una scusa per un piano già preparato.

E allora, chi e perché ha messo in giro quel trailer? E’ questa la nuova forma pensata per scatenare una guerra globale? Può darsi. Quello che è certo è che, come già sapevano gli antichi romani, sangue, onore, morte sono ingredienti ottimali per far dimenticare al popolo quanto i suoi governanti lo stanno affamando.





mercoledì 13 giugno 2012

Intervista ad Amos Oz

6 giugno 2012
di Antonella Barina
Interviste.Amos Oz, Tra amici ( Il Venerdì, 01/06/2012)




Il grande scrittore israeliano, che ha vissuto per di più di 30 anni nelle comunità di lavoro, di fronte alla crisi propone il suo paradosso (ma lo è davvero?) in un libro e al Festival di Massenzio.

Arad (Israele). “Se mi guardo intorno, in Israele come in Italia, mi sento circondato di gente che lavora oltre il necessario, per accumulare più denaro di quel che le serve, acquistare cose che non desidera davvero, far colpo su persone che non le piacciono affatto“. Amos Oz parla lentamente, ritagliando scampoli di pensiero, a lungo meditati. “Ora però la crisi economica comincia a minare questo modello tutto denaro, competizione, arrivismo. Qualcuno inizia a cercare una nuova via tra bolscevismo disumano e capitalismo darwinista. Perché non riproporre allora la formula del kibbutz, in una versione più soft e tollerante del passato? Penso a piccole cellule sociali improntate sulla solidarietà. Per alcuni funzionerebbe”.
Aveva 13 anni Amos nel ’52, quando perse tragicamente la madre, che si suicidò; 15 quando andò a guidare trattori in un kibbutz – vita nei campi ed eguaglianza: la proprietà privata era tabù – per ribellarsi al mondo intellettuale e di destra di suo padre, bibliotecario erudito, studioso poliglotta. E Amos, che un tempo, da bambino, aveva sognato di diventare un libro (non uno scrittore, proprio un libro, perché i libri sopravvivono sempre in qualche modo allo sterminio), rimase nel kibbutz Hulda più di trent’anni, cambiando il suo cognome da Klausner in Oz, che in ebraico vuol dire Forza, e lì si sposò e allevò tre figli.
Oggi Oz è uno dei massimi scrittori viventi, tra gli intellettuali più rispettati di Israele, eppure non ha perso l’aspetto archetipico del pioniere: camicia a scacchi, mani possenti, volto abbronzato che sembra sempre strizzare gli occhi chiari contro il sole. Ora i suoi libri sono tradotti in 41 lingue, ma lui conserva lo stile sobrio del kibbutz, di quando non possedeva nemmeno un libretto d’assegni. E anche se dall’86 vive ad Arad, cittadina del deserto sorta cinquant’anni fa dal nulla intorno a un centro commerciale, la sua è una casetta spartana, con giardino brullo, studio nel seminterrato. Poi libri, libri, ancora libri: ordinatissimi, come le frasi dei suoi romanzi; consunti dal gran uso, come le sue poltrone scomode e lise; strumenti di lavoro, come la vecchia scrivania e il portatile obsoleto.
Non rinnego un solo momento della mia vita nel kibbutz, che è stata la migliore università possibile. In una comunità di trecento persone, di cui si sapeva ogni segreto, ho imparato più cose sulla natura umana che se avessi fatto dieci volte il giro del mondo. Il kibbutz è una sorta di laboratorio dove tutto è concentrato: amore, morte, solitudine, nostalgia, desiderio, desolazione. E mi dà lo spunto per raccontare l’umanità: quel continuo tendere gli uni verso gli altri – come le celebri dita di Dio e di Adamo nella Cappella Sistina – senza mai riuscire a toccarsi. È dal kibbutz che attinge la mia scrittura“.
E lì ritorna il suo ultimo libro, notevole come sempre, in uscita con Feltrinelli, nell’ottima traduzione di Elena Loewenthal. Tra amici: destini che si intersecano nel microcosmo di un kibbutz anni Cinquanta, anime scrutate con occhi malinconici e saggi. Sempre il 7 giugno, Oz sarà al Festival delle Letterature di Massenzio, a Roma, dove dividerà la serata con Erri De Luca e leggerà un brano del nuovo libro: “Il capitolo dedicato a un vecchio calzolaio pacifista, anarchico, socialista, vegetariano, un uomo che racchiude in sé tutte le ambizioni di trasformare il mondo”. Mentre il 10, a Cagliari, parteciperà al Festival Leggendo Metropolitano, dove parlerà del tempo presente e del suo rapporto con la letteratura (www.prohairesis.com).
Lei, Oz, propone il kibbutz come un’alternativa all’individualismo sfrenato, eppure nei suoi romanzi fustiga quell’ambiente soffocante. Come luogo di inaspettata solitudine, ad esempio.I padri fondatori di quel modello di società avevano ambizioni monumentali, irrealistiche: pensavano di poter cambiare la natura umana di colpo, eliminare la solitudine con la vita comunitaria, cancellare crudeltà, avidità, egoismo con l’eguaglianza. Un sogno meraviglioso che – va detto a loro merito – tentarono senza gulag e polizia. Che venne meno perché il loro sguardo fissava solo le stelle”.
Un naufragio lento, ma inesorabile.Una mutazione, più che un fallimento. Il kibbutz è cambiato molto rispetto al passato. Padri e madri fondatori erano severissimi, come se organizzassero un esercito senza ufficiali. Oggi il kibbutz è meno duro, accetta entro certi limiti la proprietà privata, quindi è meno egualitario. Ma i suoi abitanti continuano a dividersi la responsabilità verso i disabili, gli anziani, chi è in difficoltà. Nel racconto che leggo a Massenzio, il vecchio calzolaio malato ha sempre qualcuno che gli fa compagnia. In una grande città morirebbe solo come un cane”.
Il kibbutz sperimentò la parità della donna, ma a scapito della sua femminilità…Lo ammetto. Ai miei tempi una ragazza poteva andare a letto con un uomo diverso ogni sera, ma bastava un rossetto perché venisse espulsa come borghese depravata. D’altra parte aveva le stesse opportunità di studio, lavoro, salario degli uomini, molto prima che nel resto della società”.
Perché ha lasciato il kibbutz?“Mio figlio soffriva d’asma e aveva bisogno del clima secco di Arad”.
Cittadina insignificante. Perché continua a vivere qui?Per il deserto. Ogni mattina alle cinque, quando è ancora buio, mi incammino tra rocce e sabbia. Da solo, nel silenzio più profondo, osservo il sorgere del sole. Il deserto rappresenta quel che è eterno contro ciò che è provvisorio. Mi è indispensabile per scrivere”.
Cosa sta scrivendo ora?Preferisco non parlarne: esporre la gravidanza ai raggi X non fa bene al bambino”.
Si mette al computer appena torna dal deserto?Prima ascolto il giornale radio delle sei: se sento un politico dire “mai” o “per sempre”, so che le pietre là fuori stanno ridendo di lui”.
Il tema del giorno è l’escalation nucleare iraniana.Fa paura. Il regime brutale di Ahmadinejad vuole cancellare Israele dalla faccia della terra. E questa politica d’annientamento, unita al possesso di armi atomiche, è una combinazione pericolosissima. Tutti gli israeliani la pensano così. Quel che ci divide fifty-fifty è il da farsi. C’è chi invoca un attacco preventivo. Io sono contrario. Perché ormai l’Iran sa fabbricare la bomba atomica: distruggeremmo le loro installazioni, non il loro know-how, e forniremmo scuse in più al loro odio. Non solo: tra poco quasi tutti i Paesi avranno mezzi di distruzione di massa, nucleari, chimici o biologici. Cosa faremo allora? Li bombarderemo tutti?”.
Il tempo stringe, però: i falchi ritengono di dover attaccare entro l’estate, se no è troppo tardi.Per questo il mondo intero dovrebbe intervenire al più presto. Con un blocco navale all’Iran”.
Cosa pensa che succederà?Mi chiede di essere profeta in terra di profeti: c’è troppa competizione nel campo”.
Neanche sulle rivolte arabe vuole intravedere un futuro?Penso che ogni Paese prenderà una direzione diversa. Ma il comune denominatore è che il fondamentalismo sembra rafforzarsi sempre più. Pessima notizia per Israele, che tuttavia non può far nulla per evitarlo. Ha fatto bene il governo a non immischiarsi”.
E sulla questione palestinese?Il processo di pace ristagna. Prevale uno status quo malato, in cui i palestinesi continuano a vivere sotto il dominio israeliano. E non può durare, bisogna arrivare a un compromesso: dividere il territorio in due Stati. Perché non ci sono alternative: cinque milioni e mezzo di ebrei israeliani e più di quattro milioni di arabi palestinesi non hanno altro luogo dove andare. Né possono trasformarsi in un’unica famiglia felice”.
Netanyahu non sembra la persona giusta per i compromessi.“Non pensavo che De Gaulle fosse l’uomo adatto a tirare la Francia fuori dall’Algeria. Né che Churchill fosse quello che avrebbe smantellato l’Impero Britannico… Chissà. Sta di fatto che ora Israele, piccola più o meno come la Sicilia, fa parlare di sé quasi fosse grande come la Cina”.

martedì 12 giugno 2012

INFORMAZIONE LIBERA, ma che fonti hai? Il negazionismo dietro la foglia di fico





Attenzione ai gruppi facebook di informazione dai nomi rassicuranti e "puliti" che rimbalzano le notizie dal web e fanno opinione in rete, contando sulla superficialità del lettore... chi sono le loro fonti?
Un'ottima ricerca di Vanni Frediani pubblicata in facebook il 
7 giugno 2012:



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La pagina di informazione in facebook "INFORMAZIONE LIBERA" pubblica oggi "SIRIA SOTTO ASSEDIO: ANCHE I CONTRACTORS IN AZIONE" un articolo di Federico Dal Cortivo affermando di averlo tratto da un sito di nome "europeanphoenix.net".
Ma si tratta di una pudicissima foglia di fico, buona solo a nascondere malamente l'origine di quell'articolo: il sito dei neonazisti di "Italia Sociale".

Chi è l'autore, Federico Dal Cortivo?
Diciamo subito che si guadagna una bella citazione nel più completo documento disponibile in rete (leggilo qui) sul fenomeno dei così detti "fascisti noglobal", cioè quella galassia di gruppuscoli ispirati da anziane cariatidi del neofascismo italiano che, come da tradizione, tentano di infiltrarsi nella sinistra con ambigue parole d'ordine ispirate al ribellismo contro quello che viene tipicamente definito "il sistema".

"Italia Sociale" si autobattezza “Il settimanale del socialismo nazionale”. Il Direttore Responsabile è il solito Ugo Gaudenzi, il Direttore Politico è Federico Dal Cortivo (anche editore). 
Il Responsabile Culturale è invece Roberto Muttoni. 
Fra i collaboratori fissi troviamo il gen. Amos Spiazzi, Stefano Andrade Fajardo, Tazio Poltronieri, il prof. Primo Siena, Franco Andreetto, Andrea Cucco. Fra i collaboratori esterni troviamo ancora i soliti nomi: Carlo Terracciano, Maria Lina Veca, Claudio Mutti, Gian Franco Spotti, Stefano Vernole, Francesco Boco, Ercolina Milanesi, Marco Cottignoli, Savino Frigiola.

In effetti, con una rapida occhiata alla pagina del loro sito denominata "ARCHIVIO LIBRI" troviamo tutta la créme della "cultura", se vogliamo chiamarla così, del neonazismo. Alcuni esempi, tutt'altro che esustivi, della "prestigiosa" collezione:

Adolf Hitler
http://www.italiasociale.net/libri/libri081110-1.html
http://www.italiasociale.net/libri/libri120710-1.html
http://www.italiasociale.net/libri/libri250610-1.html
(e naturalmente anche il Mein Kampf, col titolo pudicamente tradotto in italiano - "la mia battaglia", una chicca per intenditori, ed. Bompiani, 1942)
http://www.italiasociale.net/libri/libri231209-1.html
Julius Evola
http://www.italiasociale.net/libri/libri100910-1.html
http://www.italiasociale.net/libri/libri220510-1.html
Ezra Pound
http://www.italiasociale.net/libri/libri270110-1.html
Arthur De Gobineau
http://www.italiasociale.net/libri/libri100910-3.html
Drieu La Rochelle
http://www.italiasociale.net/libri/libri231209-1.html
Leni Riefenstahl
http://www.italiasociale.net/libri/libri021009-1.html
Carlo Mattogno
http://www.italiasociale.net/libri/libri270110-3.html

Su Italia Sociale scrive naturalmente anche il più famoso esponente del neonazismo in salsa islamica, Dagoberto Husayn Bellucci, che non perde occasione di spiegarci come i "Protocolli dei Savi Anziani di Sion" siano un documento molto ma molto ma molto veritiero.
http://www.italiasociale.net/alzozero09/az130209-4.html
http://www.italiasociale.net/cultura07/cultura010807-2.html
http://www.italiasociale.net/cultura07/cultura021009-1.html

Tra le recensioni dei testi, il nostro Federico Dal Cortivo tesse le lodi di un "opera" di squisito vittimismo fascista (cutzpah):
“La gioia violata” -Crimini contro gli italiani 1940-1946
Di Federica Saina Fasanotti
Ed.Ares
http://www.italiasociale.net/libri/libri291006-1.html

Vediamo invece come viene definito Federico Dal Cortivo da una fonte veramente "autorevole", che quel mondo lo conosce bene, diciamo così, dall'interno: IRIB, il sito ufficiale della propaganda della teocrazia iraniana rivolta al pubblico italiano.

"Federico Dal Cortivo, coordinator del quotidiano Rinascita e direttore dell’agenzia online Italia Sociale è il reppresentante italiano nella seconda Conferenza Internazionale del Disarmo Nucleare a Teheran." (leggi qui)


Niente popo' di meno, rappresentante italiano...
Ora, va bene avere una classe politica in profonda e meritatissima crisi di credibilità, ma che lo decidano a Teheran, dunque, chi rappresenti l'Italia 
su un tema così delicato come il disarmo nucleare, appare francamente eccessivo.



Dunque, coordinator del quotidiano Rinascita? Vediamo di cosa si tratta.
Alcune citazioni:

“Impostura dell’Olocausto" (Olocausto scritto fra virgolette). 
"Costruzione del mito del genocidio, delle camere a gas e dei sei milioni di ebrei uccisi”.“Prodotti di disinfezione come lo Zyklon B” 
“Claude Lanzmann ci ha gratificati con un documentario-documenzognero di oltre nove ore: Shoah” 
“L’Olocausto (sempre tra virgolette) non è decisamente altro che una gigantesca impostura” 
“Il revisionismo non è un’ideologia ma un rimedio alla tentazione dell’ideologia” 
“Le pretese camere a gas hitleriane ed il preteso genocidio degli ebrei formano una sola e medesima menzogna storica, che ha permesso una gigantesca truffa politico finanziaria di cui i principali beneficiari sono lo Stato di Israele ed il sionismo internazionale, e le cui principali vittime sono il popolo tedesco — ma non i suoi dirigenti — e l’intero popolo palestinese.”

Queste sono solo alcune delle vergognose espressioni revisioniste e soprattutto negazioniste della Shoà di un articolo firmato da Robert Faurisson e che sono state pubblicate – senza commento, senza prenderne le distanze, senza alcun senso di vergogna e di pudore – dallo pseudo giornale "Rinascita", diretto dal solito Ugo Gaudenzi.

Un articolo – dal titolo “Contro l’Hollywoodismo, il Revisionismo” – che in realtà è la relazione che lo stesso Faurisson ha tenuto agli inizi di febbraio a Teheran, volta a negare la Shoà e lo stermino degli ebrei.

Perché ‘Rinascita’ – giornale che ha ricevuto dallo Stato italiano la bellezza di un finanziamento pubblico di ben 2,489 milioni di euro per il 2010 – pubblica senza commento una tale vergogna?

La risposta sta forse nel comprendere chi sia questo Ugo Gaudenzi (in passato giornalista dell’Ansa) e cosa pensi, rileggendosi l’intervista che ha rilasciato nel febbraio di quest'anno (leggi qui).

In quella occasione Gaudenzi dà libero sfogo alle sue pulsioni culturali, parlando di religioni ("Il monoteismo orientale è fonte di pensiero unico e totalitario"); di politica ("Nutro un profondo rispetto per Benito Mussolini, per le sue idee e realizzazioni socialiste, sociali. Per la sua geopolitica di liberazione nazionale, euro mediterranea, per l’universalità del suo messaggio – mutuato dal risorgimento e dal socialismo autentico – di riscatto dei popoli poveri, delle nazioni proletarie, contro le plutocrazie") e ci spiega la sua visione dei rapporti tra palestinesi e israeliani ("Personalmente sono stato a Beirut per tre anni, fino alle stragi di Sabra e Shatyla. Oltre a conoscere la storia del Vicino Oriente, ho quindi anche visto con i miei occhi la vergognosa continua rapina di una terra altrui al popolo che vi abitava. Difendiamo l’identità ancestrale di una terra che si è sempre chiamata “Palestina”, la terra dei filistei, dei palestinesi, e che è stata regalata a Jalta, da Stalin, Roosevelt e Churchill, ad un’etnia aliena, una “comunità” che su quella terra poteva soltanto vantare una “promessa” del suo dio").

Ecco come invece viene difeso "Rinascita" dai neonazisti di stormfront: leggi qui!

Serve altro, per capire di che cosa si tratti?


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(per ulteriori approfondimenti vai alla sezione "Italiani, brava gente!" sul nostro blog)

Ma che cosa state boicottando? Ma…siete sicuri?

Eh che dolore! Che cocente delusione per i solerti boicottatori! L’Agrexco, si’ proprio quella società israeliana in testa alla lista “nera” delle imprese da boicottare, quella che esporta i prodotti che i boicottatori vanno a cercare con la lente di ingrandimento, per verificare l’odiato codice a barre che ne indica la provenienza! La Agrexco, simbolo della “colonizzazione sionista”, lo devo proprio dire…. ESPORTA PRODOTTI GAZAWI!!!!!


Pomodori ciliegini raccolti dai gazawi! E proprio verso l’Europa! 50 tonnellate per iniziare. Secondo le stime, le esportazioni dovrebbero fruttare 150.000 euro agli agricoltori della Striscia di Gaza. Le esportazioni sono cominciate nel novembre 2010 (ma i boicottatori non erano al corrente?) e gli agricoltori gazawi hanno già esportato fragole , fiori e peperoni.

Eppure l’AFP e la Reuters la notizia l’hanno data, con foto e dettagli; eppure ci sono le prove dei camion Agrexco che passano la frontiera. Ma forse ha fatto più testo la smentita del capo del Comitato per l’Agricoltura di Gaza che, non sia mai l’onta, ha negato l’innegabile.  Abdel Karim Ashur, capo del Agricultural Relief Committee nella striscia di Gaza, nega che ci sia in atto un’esportazione di verdure e pomodori da Gaza verso l’Europa.






Ma… questa marca l’ho già vista! Ah si’ è Coral, la marca di pomodorini che Gaza esporta in Francia!





Beh cari boicottatori, chissà come ci sono rimasti male i lavoratori palestinesi, quelli dei quali la sorte vi sta tanto a cuore! Non comprate i loro prodotti? Ma come!





Vi intristisce sapere che palestinesi e israeliani lavorano insieme? E’ questo che boicottate?


QUI

Cosa rispose Ben Gurion a John Foster Dulles....




Quando Ben-Gurion era primo ministro, si reco' in viaggio negli Stati Uniti per incontrare il presidente Eisenhower, per chiedergli aiuto e sostegno nei primi tempi difficili dello Stato di Israele. John Foster Dulles, allora Segretario di Stato, sfido' Ben Gurion cosi':

"Mi dica, Signor Primo Ministro - Chi, voi e la il vostro Stato dovreste rappresentare? Gli ebrei della Polonia, o quelli dello Yemen, della Romania, del Marocco, dell'Iraq, della Russia o forse del Brasile? Dopo 2000 anni di esilio, potete onestamente parlare di una sola nazione, e di una sola cultura? Potete parlare di un patrimonio unico, o forse di una sola tradizione ebraica?"




Ben Gurion gli  rispose cosi':

"Ascolti, Signor Segretario di Stato - Circa 300 anni fa, il Mayflower lascio' l'Inghilterra con i primi coloni che si insediarono in quella che divenne la più grande superpotenza democratica conosciuta come gli Stati Uniti d'America . Ora, mi puo' fare un favore? - esca  per strada, mi trovi 10 bambini americani e chieda loro quanto segue:

1 / Qual era il nome del capitano della Mayflower?

2 / Quanto duro' l'ultimo viaggio?

3 / che cosa mangiarono i passeggeri?

4 / Quali furono le condizioni di navigazione durante il viaggio?

Sono sicuro converrà che con buone probabilità non sarà possibile ottenere una buona risposta a queste domande. Invece  - non 300 ma più di 3.000 anni fa, gli ebrei hanno lasciato il paese d'Egitto. Le chiedo, signor segretario, durante i suoi viaggi in tutto il mondo, di chiedere a 10 bambini ebrei di questi paesi diversi di rispondere a queste domande:


1/ Qual era il nome del capo che porto' gli Ebrei fuori dall'Egitto?

2/ Quanto tempo ci volle prima di arrivare nella Terra di Israele?

3/ Che cosa mangiarono durante la traversata del deserto?

4/ Che successe quando si trovarono di fronte al mare?

Una volta ottenute le risposte a queste domande, vi esorto a riconsiderare attentamente la domanda che mi ha fatto. " QUI

martedì 5 giugno 2012

Foto-giornalismo dietro le quinte


Ruben Salvadori, fotoreporter italiano attivo in Israele, con una impressionanote inversione di prospettive rispetto alla "norma" punta la sua macchina fotografica non verso "la notizia", ma sui fotoreporter che sono chiamati a documentarla.
Come nasce la notizia?
Può il fotoreporter influenzare la notizia con la sua presenza?
Il fotoreporter cerca di documentare la realtà o di vendere un prodotto?
Quale prodotto interessa al "mercato dell'informazione"?
Un'indagine straordinaria sui media contemporanei.

GUARDA IL VIDEO SU YOUTUBE (in italiano)

oppure

VAI AL SITO DI RUBEN SALVADORI

Un tranquillo venerdì pomeriggio a Gerusalemme Est

lunedì 4 giugno 2012

Ogni accusa è buona: Israele e i profughi del Sudan



Costantemente sotto i riflettori della stampa occidentale e di quella stampa “alternativa” che opera esclusivamente nel web tramite siti e blog, lo Stato di Israele viene periodicamente accusato delle colpe più varie. Tali colpe dovrebbero riconfermare, agli occhi di noi lettori, quelle qualità mostruose di cui si fa portatore lo Stato Ebraico, ovvero il razzismo, la violenza, il classismo, la mancanza di etica e democrazia e così via dicendo. Ma siamo proprio sicuri che le accuse che vengono mosse ad Israele siano effettivamente fondate o piuttosto ci troviamo troppo spesso di fronte a distorsioni, inesattezze, notizie false, terminologie tendenziose e/o offensive che diventano poi luoghi comuni passivamente condivisi?

Facciamo un esempio concreto.
Negli articoli che leggiamo in questi giorni si denuncia con toni infuocati il fatto che Israele respinga i profughi del Sudan e che preveda di “deportare” (queste le terminologie usate!) quelli già presenti sul suo territorio.

Questa mezza notizia imprecisa ovviamente rincara la dose di vecchie e nuove accuse mai veramente analizzate dalla maggioranza dei lettori, ma grazie alle quali Israele si è guadagnato per una buona fetta del pubblico l'immagine di “Stato antidemocratico”, anzi meglio, di “Stato dell’apartheid”.
Così, il lettore medio italiano, non troppo informato di realtà mediorientali ma desideroso di commentare su facebook le ultime notizie, si sente confortato da una tale massa di accuse sentite e risentite in tutte le salse che non esita a tranciare giudizi, ovviamente negativi, sul “grado di eticità”, di “democraticità” e di “legittimità” dello Stato di Israele.
E dunque, di sillogismo in sillogismo, se Israele è uno Stato “antidemocratico” e privo di etica, insomma uno “Stato dell’apartheid”, di che si lamenta poi?

Allora facciamo un ragionamento un po' più articolato e vediamo se veramente la notizia che riguarda i rifugiati Sudanesi è utile come prova del nove del tanto decantato razzismo imputato allo Stato di Israele.

Innanzitutto dobbiamo chiederci: da chi esattamente scappano questi disperati del Sudan? Chi governa in Sudan? Di quale etica si fa portatore?
Ricordiamoci che questi profughi non emigrano per migliorare le loro condizioni economiche, ma per salvarsi la vita. Chi mette a repentaglio la vita dei Sudanesi?
Omar al-Bashir, l’imposizione della Shari’a, le responsabilità nel genocidio del Darfur e nella Seconda Guerra Civile
Link qui http://www.overland.org/blog/79-approfondimenti/657-approfondimento-il-sudan-ostaggio-di-un-governo-criminale-.html
Sudan, prove di guerra, pace, fondi neri e sharìa
Link: http://blog.panorama.it/mondo/2010/12/21/sudan-prove-di-guerra-pace-fondi-neri-e-sharia/
Al-Bashir appoggiato da un altro Stato campione dei diritti umani: la Cina
Link: http://blog.panorama.it/mondo/2009/03/05/sudan-arresto-di-bashir-dura-protesta-di-pechino-allonu/
Il governo sudanese bombarda i rifugiati sudanesi nel Sud-Sudan
Link: http://www.unhcr.it/news/dir/18/view/1133/sud-sudan-condanna-per-i-raid-aerei-sui-rifugiati-sudanesi-113300.html
L’etica della Polizia Sudanese
Link: http://corriereimmigrazione.blogspot.it/2012/05/sudan-profughi-feriti-e-uccisi-nel.html
In altre parole, niente integralismo islamico = niente profughi del Sudan. Possiamo scavalcare a piè pari le cause scatenanti del fenomeno distruttivo?
Eppure tutti sorvolano sull'argomento, strano no?

Altra costellazione di domande: come mai i profughi Sudanesi bussano alle porte di Israele?
Il Sudan NON CONFINA con Israele. Prendete Google Maps o altro sito a voi più gradito e controllate, i profughi che fuggono a nord per raggiungere Israele attraversano l’intero Egitto, come mai non si fermano in Egitto?
Traffico d’organi e violenze in Egitto (Sinai)
Link: http://habeshia.blogspot.it/2012/05/profughi-schiavi-nel-sinai.html
Le testimonianze di chi raggiunge Israele
Link: http://blog.panorama.it/mondo/2009/08/10/biglietto-di-sola-andata-darfur-tel-aviv/
Qual è stata in passato la politica di Israele rispetto ai rifugiati?
Un caso esemplare: 1977, Israele e i profughi vietnamiti
Link: http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Immigration/VietBoatPeople.html
E di certo non si potrà sospettare che i vietnamiti fossero di religione ebraica, giusto? (N.B solo 2 anni prima, nel 1975, Israele era stato definito in una inqualificabile risoluzione ONU come Stato razzista inquanto Sionista… ma allora questo famigerato razzismo, in cosa consiste? Chi sostiene questa TESI ieri come oggi? Link: http://sionismoistruzioniperluso.blogspot.it/2012/04/in-nuovo-antisemitismo-si-gioca-allonu.html)

Dal 2007, però, la situazione si è fatta ingestibile, si tratta di flussi da decine di migliaia di profughi verso un paese che conta 7 milioni di abitanti, grande come l’Emilia Romagna, con tensioni sociali molto forti. Nessuno nega le condizioni disastrose dei profughi, ma va detto che, oltre ad essere attive sul territorio un buon numero di associazioni che li sostengono e aiutano concretamente, le Istituzioni israeliane cercano soluzioni legali e internazionali al problema, ad esempio cercano di prendere accordi col neonato e ancora instabile stato del Sud Sudan per migliorarne le condizioni generali e rimpatriare i profughi che potrebbero ritornare nelle loro terre d’origine al riparo dalle persecuzioni… e queste sarebbero le famigerate “deportazioni” di cui si vaneggia in questi giorni?
Link: http://www.weeklystandard.com/keyword/Danny-Ayalon

E poi sarebbe utile uno sguardo più ampio sul problema dei rifugiati in tutta l’area: è solo Israele a dover fare i conti con un flusso che non riesce più a gestire? Vediamo solo alcuni casi.
Alcune notizie dal sito ufficiale dell’UNHCR
Link: http://www.unhcr.it/cerca/risultati.php?k=1&search=OIM&start=10&num_record_tot=49
Rifugiati fra Libia e Tunisia
Link: http://www.unicef.it/doc/2686/libia-odissea-dei-rifugiati-devastate-le-tende-scuola-nel-campo-profughi.htm
L’Egitto si prepara a bloccare l’ingresso dei rifugiati
http://www.secondoprotocollo.org/?p=1873
Rifugiati ai lavori forzati in Libia?
http://magazine.terre.it/notizie/rubrica/17/articolo/1681/eritrei-in-libia-rischiano-i-lavori-forzati-
E parlando di profughi e rifugiati, vogliamo dirlo chiaramente che l’UNHCR ha a disposizione solo 3,3 miliardi di dollari all’anno (dato 2010) per far fronte ai problemi di tutto il mondo, mentre circa 1 miliardo (sempre dati 2010) viene convogliato esclusivamente sui profughi palestinesi?
Link: http://sionismoistruzioniperluso.blogspot.fr/2012/04/le-differenze-tra-lunrwa-e-lalto.html
Anche questo è un problema etico: forse i profughi del Sudan sono profughi di serie B, ecco perché la comunità internazionale, in collaborazione con i singoli governi, non riesce comunque a gestire l’emergenza.
I profughi palestinesi sono oggi (grazie alla regola assurda dell’ereditarietà dello status) circa 4,7 milioni, ma solo la seconda guerra civile in Sudan produsse ben 4 milioni di profughi (senza contare i profughi del Darfur), è chiaro che c’è qualcosa che non va?
Link: http://sionismoistruzioniperluso.blogspot.fr/2012/04/le-differenze-tra-lunrwa-e-lalto.html
E’ chiaro che le Nazioni Unite per prime applicano due pesi e due misure?

*****



Dunque, alla fine di questa breve carrellata che mostra solo per sommi capi il contesto socio-politico reale in cui cominciare a comprendere il problema dei profughi del Sudan, possiamo dire veramente che questo sia una sorta di cartina al tornasole della mancanza di democraticità in Israele? Del suo innegabile razzismo? Chi ci garantisce che anche le altre accuse mosse ad Israele quotidianamente non soffrano della stessa ristrettezza di vedute, se non addirittura di fondamenti semplicemente menzogneri?
Se già non lo conoscete, vi invito a dedicare un po' di tempo a studiare il caso del cosiddetto "massacro di Jenin" che ha gettato -e continua a gettare- infamia su Israele e il suo esercito.
Jenin e la nuova guerra fondata sui "diritti umani"
Link: http://sionismoistruzioniperluso.blogspot.it/2012/04/onu-ong-e-la-guerra-fondata-sui.html
Il film "Jenin Jenin" le accuse false e i finanziamenti dell'Autorità Palestinese

Link: http://sionismoistruzioniperluso.blogspot.it/2012/05/ho-creduto-alle-cose-che-mi-venivano.html


Chi contesta Israele e le sue politiche dalla sua finestra sul web parla spesso di etica, allora a me viene in mente che anche nel fare informazione (e nel divulgarla tramite associazioni, blog e social network) ci dovrebbe essere un’etica. Innanzitutto prendersi in carico la necessità di porsi delle domande e di darsi delle risposte al di là dei preconcetti che ognuno di noi può avere, fare una ricerca con i mezzi che tutti abbiamo a disposizione, raccogliere dati, fatti e documenti, prima di scrivere e divulgare.
Questo è etico, tutto il resto è chiacchiera, oppure propaganda... e fra le due non si sa più dire quale sia il male minore.

Fare le pulci alle altrui democrazie sulla base di analisi come minimo superficiali è facile, in fondo nessuno Stato è perfetto, soprattutto di fronte alle emergenze. Allora, tenuto conto che nessuno Stato è perfetto, e quindi neanche Israele, l’unica risposta seria che si può dare alle accuse vuote che circolano in rete è una proposta: per verificare nei fatti quel tasso di eticità e di democrazia PERCEPITA e VISSUTA da chi vive in Israele e ha conosciuto cosa significa vivere in altri Stati vicini, o transitarci da rifugiato, si potrebbe cominciare a chiedere direttamente proprio ai profughi del Sudan che, nonostante tutte le difficoltà, da anni vivono protetti dalla democrazia di Israele.
Link: http://blog.panorama.it/mondo/2009/08/10/biglietto-di-sola-andata-darfur-tel-aviv/
Sarebbe questo il famoso “Stato dell'apartheid”?

A chi parla con troppa leggerezza di realtà che non conosce, appoggiandosi a comodi luoghi comuni, affibbiando ad Israele ogni sorta di etichetta infamate, bisogna ricordare che nella democratica Australia, qualcuno ha alzato la voce contro questo malcostume dilagante e finalmente arrivano le prime scuse.
La “natura offensiva” delle etichette imposte ad Israele dalla stampa
Link: http://honestreporting.com/aussie-editor-apologizes-for-apartheid-headline/
Quando cominceremo a leggere notizie simili anche in Italia?


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di Sionismoistruzioniperluso.blogspot.it

mercoledì 30 maggio 2012

Boualem Sansal, scrittore algerino: «La Privamera araba non è ancora iniziata»


18 OTTOBRE 2011
da: Frontierenews.it


Boualem Sansal, scrittore algerino, che quest’anno ha vinto il Friedenspreis (Premio della pace), ha affermato: «La Primavera araba non è ancora cominciata. I grandi problemi sono ancora irrisolti. E non si tratta solo dei dittatori, che naturalmente debbono scomparire. No, c’è la questione della cultura e quella dell’islamismo».

Sansal, quasi alla soglia dei 61 anni, risiede a Boumerdès, una città sul mare a circa 40 chilometri da Algeri. E’ stato licenziato nel 2003 dal suo posto di direttore generale del ministero dell’Industria per via delle molte critiche dei suoi libri verso il regime del presidente Bouteflika. La moglie, docente, ha perso il lavoro; il fratello, proprietario di una piccola attività commerciale, è stato costretto a chiudere.

Nonostante tutto ciò, Sansal non vuole saperne di lasciare l’Algeria: «Voglio aiutare a preparare la riconquista della democrazia dopo tanti anni di menzogne. Ai giovani viene insegnata una storia ufficiale totalmente falsa. E in più pesa su di loro il pericolo della propaganda fanatica dell’islamismo estremista».

Sansal, autore di sei romanzi e di molti saggi, ha provato enorme felicità nel momento in cui gli è stata rivelata la notizia del premio: «Soprattutto perché la Germania, come gli altri Paesi europei, finora non riconoscevano i movimenti democratici del Nordafrica, anzi intrattenevano buoni rapporti con i dittatori».

Ha sempre preferito scrivere i suoi libri in lingua francese e da sempre non accetta l’arabizzazione del paese. Nel romanzo intitolato «Il villaggio del tedesco», ha introdotto un paragone tra l’islamismo jihadista e il nazismo. «Studiando il Terzo Reich, ho visto che là c’erano gli stessi ingredienti che ritrovo nel mio Paese e negli altri regimi arabi. E sono: partito unico, militarizzazione del Paese, lavaggio del cervello, falsificazione della storia, affermazione dell’esistenza di un complotto (i principali colpevoli sono Israele e l’America), glorificazione dei martiri e della guida suprema del Paese, onnipresenza della polizia, grandi raduni di massa, progetti faraonici di opere pubbliche (come la terza moschea più grande del mondo costruita dal presidente Bouteflika). Solo quando gli algerini, i tunisini, gli egiziani, i libici si saranno liberati da questo castello di menzogne, solo allora potrà cominciare la Primavera araba. Per questo rimango in Algeria».

Sono andato a Gerusalemme e ne sono tornato felice…

Boualem Sansal è nato ad Algeri. Formatosi come un ingegnere con un dottorato in economia, ha iniziato a scrivere romanzi all’età di 50 dopo aver lasciato il suo lavoro di alto funzionario del governo algerino. L’assassinio del presidente Boudiaf nel 1992 e l’ascesa del fondamentalismo islamico in Algeria lo hanno ispirato a scrivere del suo paese. Sansal continua a vivere con la moglie e due figlie in Algeria, nonostante le polemiche che i suoi libri hanno suscitato in patria. Al Festival internazionale di Letteratura 2007 a Berlino, è stato presentato come uno scrittore “esiliato in patria”. Egli sostiene che l’Algeria sta diventando una roccaforte dell’estremismo islamico e il paese sta perdendo le sue basi intellettuali e morali.




Lettera aperta, 24 maggio 2012



Cari fratelli, cari amici, d’Algeria, di Palestina, d’Israele e d’altrove,

Scrivo queste poche righe per darvi mie notizie. Forse siete preoccupati per me. Io sono un uomo semplice, sapete, uno scrittore che non ha mai preteso altro che la felicità di raccontare storie, queste storie  “da non raccontare”, come dice il mio amico regista, Jean-Pierre Lledo , ma ecco che la gente ha deciso di interferire nelle nostre relazioni di fraternità e di amicizia e hanno fatto di me un oggetto di scandalo.

Rendetevi conto, mi accusano niente di meno che di alto tradimento della nazione araba e del mondo musulmano nella sua interezza. Vuol dire che non ci sarà nemmeno un processo. Queste persone sono di Hamas, persone pericolose e calcolatrici, che hanno preso in ostaggio la povera gente di  Gaza e la ricattano ogni giorno da anni, in una specie di buco nero, assicurato dal blocco israeliano, e ora vengono a dettare a noi, a noi che in tutte le maniere cerchiamo di liberarcene, quello che dobbiamo pensare, dire e fare e ci sono anche altri, individui anonimi, amareggiati e pieni di fiele, chiusi a tutti, che ritrasmettono l’odio come possono, attraverso la rete. E’  attraverso loro, per mezzo dei loro comunicati vendicativi ed i loro insulti a tutto tondo, che avete saputo del mio viaggio e io sono qui per confermare, perché non ci sia confusione nelle vostre menti e per fare chiarezza tra le noi: SONO ANDATO IN ISRAELE.



Che viaggio! e che accoglienza! Perdonatemi per non averlo io stesso annunciato prima di partire, ma capirete, ci voleva discrezione, Israele non è una meta turistica per gli arabi, anche se… quelli, non pochi, che mi hanno preceduto in questa terra di latte e miele, lo hanno fatto di nascosto, con nomi falsi o passaporti presi a prestito, come a suo tempo fece la coraggiosa signora Khalida Toumi, allepoca fervente oppositrice al regime poliziesco e fondamentalista in Algeria, ed oggi brillante ministro della cultura, impegnatissima nella caccia ai traditori, agli apostati e agli harkis.
E’ a lei in particolare che gli algerini devono il loro vivere ogni giorno i problemi e la rabbia nel loro bel paese. I suoi doganieri non mi avrebbero mai  lasciato uscire, se mi fossi presentato con un biglietto d’aereo Algeri / Tel Aviv in una mano e nell’altra un visto israeliano appena incollato sul mio passaporto bello verde. Mi domando se si sarebbero spinti a gasarmi. Ho agito altrimenti  e l’astuzia ha pagato: ho preso la via della Francia, munito di un visto israeliano “volante” recuperato a Parigi, rue Rabelais, ed ora mi trovo in possesso di mille e una storia che mi riprometto di raccontarvi in dettaglio in un prossimo libro, se Dio ci concede la vita.

Vi parlero’ di Israele e degli israeliani, di come li possiamo vedere con i nostri  propri occhi, sul posto, senza intermediari, lontano dalla dottrina, ed essendo certi di non dover subire nessuna “prova della verità” al ritorno. Il fatto è che in questo mondo non c’è un altro paese e un altro popolo come loro. Mi affascina e mi rassicura che ognuno di noi sia unico. L’unicità infastidisce, è vero, ma tendiamo ad amarla, perché la perdita è davvero irreparabile.



Parlerò anche di Gerusalemme, Al-Quds. Mi sembra di aver percepito che questo posto non sia davvero una città ed i suoi abitanti non siano realmente tali; c’è un’irrealtà  nell’aria e certezze di un tipo sconosciuto sulla terra. Nella vecchia città multimillenaria,  è semplicemente inutile cercare di capire, tutto è sogno e magia, vi si incontrano i profeti, i più grandi, ed i re, i più maestosi, li interroghiamo, parliamo loro come ad amici del quartiere: Abramo, Davide, Salomone, Maria, Gesù e Maometto l’ultimo della linea, che la salvezza sia su di loro, passando da un mistero all’altro, senza transizione, ci  si muove attraverso i millenni e il paradosso, in un cielo uniformemente bianco ed il sole, sempre ardente. Il presente e le novità sembrano talmente effimere che ben presto non ci pensiamo più. Se esiste un viaggio celeste in questo mondo, è qui che tutto comincia. E non è qui che Cristo ha fatto la sua ascensione al cielo, e Maometto il suo Mi’raj sul suo destriero Buraq, guidato dall’angelo Gabriele?

Ci si chiede quale sia il fenomeno che tiene tutto in ordine, in modo molto moderno, del resto, perché Gerusalemme è una città, vera e propria capitale, con strade pulite, marciapiedi lastricati, case solide, auto dinamiche, alberghi e ristoranti interessanti, alberi ben curati, e tanti turisti provenienti da tutti i paesi… ad eccezione dei paesi arabi, soli nel mondo a non poter venire, a non essere in grado di visitare il loro luogo di nascita, il luogo magico dove nascono le loro religioni, la cristiana così come quella musulmana.



Sono gli arabi e gli  ebrei israeliani  che ne beneficiano, li vedono tutti i giorni, tutto l’anno, mattina e sera, apparentemente senza mai stancarsi del loro mistero. Non possiamo contare i turisti in questi labirinti, sono troppo numerosi, più dei nativi, e la maggior parte si comportano come se fossero pellegrini venuti da lontano.

Raggruppamenti compatti che si incrociano tra loro senza mescolarsi: inglesi, indù, giapponesi, cinesi, francesi, olandesi, etiopi, brasiliani, ecc, accompagnati da guide instancabili, che giorno dopo giorno, in ogni linguaggio della creazione, raccontano alla folla incantata la leggenda dei secoli. Se si tende l’orecchio, si capisce davvero che si tratta di una città celeste e terrestre allo stesso tempo, e perché tutti vogliano possederla e morire per lei.
Quando si vuole l’eternità, ci si uccide per averla, è stupido, ma si può capire. Io stesso mi sono sentito diverso, schiacciato dal peso delle mie domande, io, il solo del gruppo ad aver toccato con le sue mani i tre luoghi sacri della Città Eterna: il Kotel (Muro del Pianto), il Santo Sepolcro e la Cupola della Roccia. In quanto ebrei o cristiani, i miei compagni, gli altri scrittori del festival, non potevano accedere al Monte del Tempio, il terzo luogo sacro dell’Islam, dove sorgono la Cupola della Roccia, Qubat as- Sakhrah, scintillante nel suo colore azzurro, e l’imponente moschea di al-Aqsa, Haram al-Sharif. Sono stati ricacciati indietro, senza esitazione, dall’agente del Waqf, assistito da due poliziotti israeliani di guardia all’ingresso della Spianata, per preservarla da ogni contatto non-halal.

Sono passato grazie al mio passaporto che attesta il mio essere algerino e cosi’, per deduzione, musulmano. Non ho negato, al contrario, ho recitato un versetto del Corano, riesumato dai miei ricordi d’infanzia, che apertamente ha sbalordito il portiere: era la prima volta nella sua vita che vedeva un algerino. Credeva che, a parte l’emiro Abd-el-Kader, fossero tutti un po' sefarditi, un po’ atei, un po’ qualche altra cosa. E’ divertente, il mio piccolo passaporto verde mi ha aperto le frontiere dei luoghi santi più velocemente di quanto mi abbia aperto le frontierei Schengen in Europa, dove la sola vista di un passaporto verde risveglia immediatamente l’ulcera dei doganieri.


Beh, vi dico francamente, da questo viaggio sono tornato felice e soddisfatto. Ho sempre creduto che fare non fosse la cosa più difficile, ma mettersi in condizione di essere pronto a iniziare a farlo.

La rivoluzione è qui, nell’idea intima che siamo finalmente pronti a muoverci, a cambiare sé stessi per cambiare il mondo. E’ il primo passo, molto più che l’ultimo, a farci raggiungere l’obiettivo. Mi sono detto che la pace è soprattutto una questione di uomini: è questione troppo seria per essere lasciata nelle mani dei governi o, ancora meno, dei partiti. Parlano di territorio, di sicurezza, di soldi, di condizioni, di garanzie, firmano documenti, fanno cerimonie, alzano bandiere, preparano piani B.

Gli uomini non fanno nulla di tutto questo, fanno cio’ che fanno gli uomini: vanno al caffè, al ristorante, si siedono intorno al fuoco, si riuniscono in uno stadio, si trovano a un festival, su una spiaggia e condividono bei momenti, mescolano le loro emozioni e alla fine si fanno la promessa di incontrarsi di nuovo. “Ci vediamo domani”, “Cin cin”, “L’anno prossimo a Gerusalemme”, dicono. Questo è quello che abbiamo fatto a Gerusalemme. Uomini e donne di molti paesi, scrittori, riuniti in un festival della letteratura a parlare dei loro libri, dei loro sentimenti davanti al dolore del mondo e altro, e soprattutto di ciò che mette gli uomini nelle condizioni di poter un giorno cominciare a fare la pace, e alla fine ci siamo promessi di rivederci, di scriverci almeno.



Non mi ricordo che in quei cinque giorni e notti trascorsi a Gerusalemme (il terzo giorno, con un rapido ritorno a Tel Aviv per condividere una splendida serata con i nostri amici dell’Istituto francese), abbia una sola volta parlato della guerra. L’abbiamo scordata, abbiamo evitato di parlarne o abbiamo fatto come se un’epoca fosse passata e fosse arrivato il momento di parlare di pace e di futuro? Indubbiamente, non si può parlare sia di guerra e pace allo stesso momento, una esclude l’altra.
Mi è dispiaciuto molto, però, non ci fosse nessun palestinese tra noi. Dopo tutto, la pace è da fare tra israeliani e palestinesi. Io non sono in guerra né con l’uno né con l’altro e non so perché li amo entrambi, allo stesso modo, come fratelli dall’inizio del mondo. Sarei in pace se, in un giorno non lontano,  fossi invitato a Ramallah, con degli scrittori israeliani; è un bel posto per parlare di pace e di quel famoso primo passo che permetta di andarci.

Voglio in special modo ricordare David Grossman, questo monumento della letteratura israeliana e mondiale. Ho trovato formidabile che due scrittori come noi, due uomini onorati con lo stesso premio, il “Friedenspreis des Deutschen Buchhandels”, il Premio per la Pace dei librai tedeschi, a un anno di distanza, lui nel 2010, io nel 2011, si ritrovino insieme nel 2012 a parlare di pace, in questa città, Gerusalemme, al-Quds, dove ebrei e arabi convivono, dove le tre religioni del libro si dividono il cuore umano. Il nostro incontro sarà l’inizio di un grande raduno di scrittori per la pace? Questo miracolo si produrrà nel 2013? Spesso il caso è malizioso e ci fa dire cose che non devono nulla al caso.
Da qualche parte, sulla strada di casa, tra Gerusalemme e Algeri.


Boualem Sansal



sabato 26 maggio 2012

Ancora sul doppio linguaggio: disastro o vittoria?


Il problema del "doppio linguaggio" è una realtà sotto gli occhi di chiunque si occupi delle tematiche Mediorientali informandosi non solo tramite i media occidentali, ma anche tramite quelli locali. Palestinian Media Watch in particolare da anni denuncia questo comportamento inaccettabile da parte Palestinese. 

Appare evidente infatti che per trattare la questione ebraica ed israeliana, viene utilizzato un linguaggio decisamente epurato, improntato a toni di ragionevolezza e continui riferimenti ai diritti umani, alla pace, alla teoria della convivenza dei due popoli e due Stati per quanto riguarda la comunicazione verso l'Occidente. Tutt'altro atteggiamento viene utilizzato invece quando i destinatari dei messaggi mediatici sono i popoli arabi o la comunità musulmana nel mondo: qui emerge tutto l'odio razziale contro gli ebrei, il negazionismo, l'apologia del martire e le effettive intenzioni di cancellare dai territori della "grande nazione araba" lo Stato di Israele, per sostituirlo con uno Stato Palestinese e Musulmano (ideologia che ben è stata definita con il termine PALESTINISMO e che si oppone, per distruggerlo, al sionismo).

Solo di recente il problema del doppio linguaggio è stato sollevato per la prima volta in sede internazionale di fronte all'UNESCO, quando si scoprì che in un periodico finanziato dall'UNESCO stesso e destinato ai ragazzi palestinesi era stata pubblicata una glorificazione di Hitler inquanto sterminatore di ebrei.

La cosa incredibile è che queste glorificazioni, l'indottrinamento al disprezzo dell'ebreo e l'incitamento alla distruzione dello Stato di Israele non sono realtà poi tanto nascoste, infatti si trovano esplicitamente illustrate nei libri di testo comunemente utilizzati dai bambini palestinesi, le varie televisioni strabordano di esempi simili, per non parlare delle famose vignette "satiriche" antisemite e violente che hanno amplissima diffusione in tutto il mondo arabo.

Verrebbe da chiedersi come sia possibile questa cecità generalizzata della nostra società occidentale, vorremmo pensare che dopo i fatti dell'UNESCO la sensibilità media si sia innalzata, invece ancora una volta la tecnica del doppio linguaggio viene utilizzata sfacciatamente e nessuno sembra fare una piega.

Il caso che vogliamo illustrare oggi riguarda i 1.550 condannati palestinesi in sciopero della fame nelle carceri israeliane. Almeno un paio di questi, che vengono intenzionalmente chiamati "prigionieri" ma che più giustamente dobbiamo chiamare "condannati", sono oggi in fin di vita a causa del prolungato digiuno che si sono auto-imposti. 

Il 24 Maggio 2012 Abbas organizza a beneficio dei media internazionali una conferenza stampa per lanciare un messaggio ufficiale condiviso dai rappresentanti dell'OLP e da rappresentanti di Fatah. 
Di fronte ai giornalisti (leggi qui) asserisce che dichiarerà il "disastro nazionale se uno qualsiasi dei 1.550 prigionieri palestinesi in sciopero della fame nelle carceri israeliane dovesse morire". E prosegue precisando che riterrà  "il governo israeliano pienamente responsabile per la vita e il destino dei prigionieri palestinesi in digiuno", e minaccia che "non verrà tollerata" neanche la morte di un, cosiddetto, prigioniero.

Se nella dichiarazione diretta alla comunità internazionale Abbas mette l'accento sul fatto che la morte di questi condannati scioperanti rappresenterebbe una "catastrofe", tanto da rendere necessaria la dichiarazione di "disastro nazionale", tutt'altro registro viene utilizzato dagli scioperanti stessi che solo pochi giorni prima dichiarano 
“Se muoiono, la vittoria sarà più grande”, perché “In ogni caso, Israele verrà ritenuta responsabile” (leggi qui). E mentre gli scioperanti esplicitano la natura del ricatto immorale, nel frattempo il movimento per la jihad islamica ha già minacciato di riprendere gli attacchi missilistici da Gaza su Israele se uno dei prigionieri dovesse morire.

Allora, spiegateci un attimo, la morte di questi condannati palestinesi sarà un "disastro nazionale", una "catastrofe", o non sarà piuttosto considerata un giusto sacrificio dei buoni martiri islamici e quindi una "vittoria" che consentirà di riprendere con virulenza gli atti terroristici contro la incolpevole popolazione israeliana?